...non ho dimenticato Stalin!
giovedì 27 agosto 2009
YA BASTA!
Siamo intelligenti, siamo colti e preparati...
Se non lo siamo DOBBIAMO diventarlo ogni giorno di piu'.
DICIAMO BASTA alla televisione, informiamoci su internet.
DICIAMO BASTA all'egemonia del petrolio, le macchine possono andare con mille altri mezzi che non siano inquinanti, e soprattutto GRATIS!!!!!
GRATIIIIIIIIIIIS!
DICIAMO BASTA A CHI TENTA DI SOFFOCARE LE NOSTRE VITE NELL'OBBEDIENZA!!!
BASTA!!!!
A questi politici marionette servi del potere!
Facciamo capire che:
INNEGGIARE AL FASCISMO E' REATO PUNIBILE CON LA GALERA!!!!
quindi...
DA OGGI COMINCIA UN NUOVO ORDINE, BASATO SULLE RISORSE VERE E CONCRETE, SUL DIO UOMO, MORTE AL DIO DENARO!!!!
BASTA!!!
BASTA!!!!!
BASTAAAAAA!!!!!!
SPEGNETE LA TELE, RENDIAMOCI CONTO CHE E' IL MALE!!!!
chiunque puo' aiutare nel suo piccolo, con parole, link a notizie, video su manifestazioni, qualunque cosa ci aiutera' a cambiare il sistema...
e non andra' a finire come nella canzone di Gino Paoli (eravamo quattro amici al bar, che volevano cambiare il mondo), noi tra trent'anni saremo ancora di piu', LIBERI,INFORMATI E CON ILMONDO DI NUOVO NELLE MANI DEI NOSTRI FIGLI, NON DEI NOSTRI "VECCHI".
Ci diffondiamo come un virus, da dentro il sistema;
Abbiamo dentro tanta RABBIA ed ora sappiamo con chi dobbiamo prendercela!!!!
SIAMO MILIONI, ABBIAMO SOLO BISOGNO DI COMUNICARE TRA DI NOI.
I TEMPI SONO MATURI PER UNA RIVOLUZIONE!!!!
Spegnamo la tele ed accendiamo il pc.
TUTTI PRONTI, PER UN UNICO MOMENTO DOVE SAREMO TUTTI UNITI A DIRE:
YA BASTA!!!
lunedì 24 agosto 2009
In ospedale Una dei cinque eritrei scampata al mare
«Donne incinte sul barcone
Le ho viste abortire e morire»
Titi la sopravvissuta racconta
Titi, la sopravvissuta
PALERMO — «A bordo c’erano anche tre donne incinte. Due di loro prima di morire hanno perduto il bambino che portavano in grembo, hanno abortito per la fame, la sete e la sofferenza di un viaggio terrificante durato 21 giorni». Parla un inglese stentato Titi Tazrar, 27 anni, eritrea, unica donna sopravvissuta alla tragedia nel Canale di Sicilia. Ma lo strazio di quelle compagne di viaggio che coltivavano la speranza di una vita migliore soprattutto per le creature che portavano in grembo lo racconta anche a gesti. Alza a fatica la testa dal cuscino e muove le mani dall’alto in basso, sfiorandosi il ventre come a dar forma all’orrore di quei feti che vengono via dall’utero materno. Un gesto che fa calare il silenzio tra medici e infermieri dell’ospedale Cervello di Palermo dove ieri è arrivata in elicottero assieme a un altro connazionale di 24 anni, Halligam Tissfaraly, che se ne sta raggomitolato tenendosi il braccio teso alla flebo.
Anche Titi è visibilmente provata, ma sgrana gli occhi e quasi si dispera quando non riesce a farsi capire. «A bordo non avevamo praticamente nulla — racconta — solo qualche bottiglia d’acqua, pochissimo cibo e neanche un telefono per lanciare l’allarme. Alla partenza eravamo 78, in gran parte eritrei ma anche etiopi e nigeriani. Di alcuni ci accorgevamo che erano morti perché durante la notte cadevano direttamente in mare, altri li abbiamo dovuti abbandonare noi. Le donne incinte sono quelle che più hanno sofferto, noi non sapevamo come assisterle e consolarle. Ma poco dopo aver perso il bambino sono morte anche loro».
E poi dà la sua versione sulla controversa questione dei soccorsi maltesi. «Ci hanno dato cibo, acqua e della benzina ma ci hanno lasciati in mare. Anche un’altra imbarcazione si è accostata per darci cibo e acqua. Nessuno però ci ha preso a bordo». Si fa evasiva di fronte alla domanda diretta se sono stati loro a rifiutare il trasbordo sulle imbarcazioni che hanno fornito i viveri. Insiste: «Ci hanno dato solo acqua e cibo, mentre altre navi non si sono neppure avvicinate. Noi ci sbracciavamo, gridavamo, chiedevamo aiuto ma loro facevano finta di non vederci». Per Titi il trasferimento in ospedale si è reso necessario per le sue precarie condizioni di salute («si riprenderà presto» assicurano i medici).
Dietro la sua attuale fragilità si intravede un’abitudine alla sofferenza che è stata determinante per resistere 21 giorni in balia del mare. Forse quel che resta della vita militare a cui era destinata. In Eritrea frequentava quella che lei chiama «accademia militare » e che forse è proprio la durissima «Sawa» dove le donne subiscono ogni tipo di violenza. «Era una vita che non mi piaceva — si limita a dire lei — volevo e voglio una vita diversa ». Titi non è sposata e non ha figli. Nel suo Paese ha lasciato la madre, un fratello e una sorella che lavorano in un’azienda agricola e dice di non aver pagato nulla per il viaggio: «A pagare per me è stato mio zio materno, ma non so quanto abbia versato ». Sa benissimo invece quanto ha dovuto penare prima di arrivare al tanto atteso viaggio della speranza in Italia: «Un anno e otto mesi ho dovuto aspettare prima dell’imbarco— racconta — restando a lungo in Sudan e poi diversi mesi in Libia».
Non parla o preferisce tenerle per sé storie di violenze in Eritrea e durante il cammino verso l’Italia, ma illumina la stanza col suo gran sorriso quando si accenna al futuro: «Ho chiesto asilo politico — scandisce— sono partita perché volevo venire in Italia. Non in Germania o Francia ma in Italia. Voglio restare qui. Sono disposta a fare qualunque tipo di lavoro ma voglio finalmente una vita migliore ».
Alfio Sciacca
24 agosto 2009
Considerazioni
...e vedo la gente, nella più totale indifferenza, girare per centri commerciali a spendere per cose inutili. Altri, rivolgersi alle finanziarie, per poter comprare un biglietto di prima classe per una crociera che li porterà in paesei lontani. Mi chiedo lontani da chi e da cosa? Come può un essere umano sentirsi distante da un altro simile e dal dolore che questo prova?
Se un mio simile soffre e vive in condizioni come quelle di Titi, io mi sento parte di lei, con lei e le starò accanto in tutti i modi possibili.
Lo so che non sono sola, in questa mia visione della vita che molti definirebbero "follia".
Allora, qualcuno ci dia il detonatore, che la dinamite siamo noi!
Chiapillita
mercoledì 7 novembre 2007
Comunicato del 27 0ttobre 2007 Jojutla-Morelos
27 ottobre 2007 – Jojutla - Morelos
Intervento della Commissione Sesta dell’EZLN
LA SOLIDARIETÀ COME FRATELLANZA O COME USURA
“… il pessimismo continuava ad averla vinta poco a poco; la fame e la sete, la stanchezza, la sensazione di impotenza di fronte alle forze nemiche che ci accerchiavano sempre di più e, soprattutto, la terribile malattia dei piedi conosciuta dai contadini col nome di mazamorra - che trasformava in un martirio intollerabile ogni passo dei nostri soldati - avevano fatto di questo un esercito di ombre. Era difficile andare avanti, molto difficile. Giorno dopo giorno, le condizioni fisiche della nostra truppa e del cibo peggioravano, un giorno sì ed un altro no, un altro forse, niente contribuiva a migliorare il livello di miseria che stavamo sopportando. Passavamo i giorni più duri nascosti (…) in pantani pestilenziali, senza una goccia d'acqua potabile, attaccati continuamente dall'aviazione, senza un solo cavallo per poter trasportare i più deboli attraverso le inospitabili paludi, con le scarpe completamente distrutte dall'acqua fangosa di mare, con le piante che ferivano i piedi scalzi, la nostra situazione era realmente disastrosa mentre tentativamo faticosamente di uscire dall'accerchiamento (…). Non avevamo tempo di riposare neanche per poco quando un nuovo acquazzone, le inclemenze del clima, oltre agli attacchi del nemico o alle notizie della sua presenza, tornavano ad imporci la marcia. La truppa era sempre più stanca e scoraggiata. Ma, quando la situazione era ancor più tesa, quando ormai solo l'impero dell'insulto, delle suppliche, degli spropositi di ogni tipo, riusciva a far procedere la gente esausta, una sola visione in lontananza incoraggiò i loro volti ed infuse nuovo spirito alla guerriglia.”
“Passaggi della Guerra Rivoluzionaria.
L'Offensiva Finale: La battaglia di Santa Clara” - Ernesto Che Guevara
Così Ernesto Che Guevara descriveva un ottobre di quasi 50 anni fa. Alcune settimane dopo questo disastro, il Che comandava una delle battaglie più impressionanti della storia militare mondiale: la Battaglia di Santa Clara.
Giorni dopo cadeva la dittatura da Fulgencio Batista, trasformando il popolo di Cuba, dopo essere stato l'ultimo ad emanciparsi, nel primo ad essere libero in America.
E dico questo mentre si blatera della sovranità nazionale (ora presuntamente difesa dai senatori “patrioti”) o della lotta al narcotraffico, dimenticando che la cosiddetta “Iniciativa Merida” o “Plan México”, ha come uno dei suoi obiettivi quello di chiudere la morsa militare e diplomatica intorno a quella solitaria stella di dignità nei Caraibi.
All'improvviso, dopo gli stessi quasi 50 anni, il governo nordamericano scopre che l'opzione scelta dal popolo cubano non dipende da un uomo eccezionale, ma dalla vocazione storica condivisa dai popoli latinoamericani: quella alla libertà ed alla giustizia.
Il problema, dunque, per il governo degli Stati Uniti non si chiama Fidel Castro Ruz, ma, per dirlo semplicemente, si chiama Rivoluzione Cubana.
40 anni fa il Potere straniero scoprì che la ribellione di un continente non moriva con la pallottola che ammazzava Ernesto Che Guevara, e che a volte quel sentimento si incarna negli individui ma sempre nei popoli.
Forse a qualcuno, o a qualcuna, suonerà strano che il nostro intervento in questo forum di solidarietà con le comunità zapatiste inizi citando il Che e Cuba, ma viene a proposito perché, secondo il nostro pensiero zapatista, non si può parlare della solidarietà come fratellanza senza pensare a Cuba, alla sua lotta ed alla sua storia.
E nominando Cuba non nominiamo la vittima di turno, ma quanto lì è in gioco a livello regionale, continentale e mondiale.
E nominare il Che non è far un’offerta al complesso e reiterato culto della morte. È, invece, onorare la vita e la ribellione che le dà senso e rotta.
Un po’ di storia.
“Tutto sembra impossibile alla vigilia” - disse qualcuno dei nostri, per poi aggiungere - “ma il domani è proprio lì, vicino, non perché ci aspetti, ma perché noi lo costruiamo al suo momento, su un altro calendario”.
E tra gli impossibili di ieri, ci sono i futuri oggi. Gli uomini, le donne, i bambini e gli anziani che hanno abbracciato la causa sintetizzata nella Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, hanno deciso di fare un'Altra cosa, in basso e a sinistra, ed affrontano gli impossibili di oggi.
Ma non è la prima volta.
La storia recente del nostro movimento, quello zapatista dell'EZLN, ha visto molti stravolgimenti in quanto riguarda il nostro modo di vedere il mondo, di guardare all'ambito politico.
Pensando che saremmo stati non solo soli, ma con tutto contro, ci preparammo per quell'alba del gennaio 1994.
14 anni fa, con la luna di ottobre come tetto sul nostro cammino, nelle montagne del sudest messicano, si affinavano gli ultimi dettagli dell'insurrezione. Ho detto “affinavano gli ultimi dettagli” solo per ripetere un luogo comune, in realtà camminavamo disordinati, con una rilassatezza che dava molto da pensare sulle possibilità reali di successo politico e militare dell'insurrezione in armi di migliaia di indigeni e della presa di 7 capoluoghi municipali dello stato sud-orientale messicano del Chiapas.
Realizzare gli ultimi preparativi dell'insurrezione sembrava lo sforzo di tagliare con martello e scalpello uno di quei piccoli gioielli di cristalleria che abbagliano per colori e lucentezza. E così fu allora, ed è anche adesso.
La nostra causa, la più bella, nobile ed antica nella storia dell'umanità, la causa della libertà dei popoli, ha così tanta luce e colori che ancora adesso, a quasi 24 anni dall’inizio del nostro impegno, non abbiamo finito di scoprirla nella sua totalità.
Lo sappiamo ora e lo sapevamo allora.
Ma non siamo abituati a sistemare i fatti della nostra stessa storia per dare lezioni che mai abbiamo preso o per dare un'idea di limpida coerenza, quindi devo dirvi che, visto dall’alta e luminosa notte dell'ottobre del 1993, il piano dell'insurrezione somigliava molto a tanti disordinati pezzi di un puzzle che non avevano niente a che vedere tra loro.
Potrei vantarmi ora, a distanza di calendario e guardando alla neo-militarizzazione del paese intero, dicendo che il caos di allora faceva parte del piano, e che tutto mostrava un disordine studiato con l'obiettivo di sconcertare i servizi segreti governativi del Messico e degli Stati Uniti, ma non lo farò.
Se a quella borsa di domande che voi chiamate “luna”, domandassimo che cosa vide in quelle notti sulle montagne del sudest messicano, sicuramente direbbe: “Sembrava un'ombra multipla, senza destinazione, rotta”.
Indubbiamente io avrei preferito che la luna ci descrivesse come uno “specchio frammentato”, ma chi fa tante domande non può mentire, cosicché quello eravamo: un'ombra rotta. Forse lo siamo ancora, forse torneremo ad esserlo.
In altre occasioni ho fornito frammenti di questo modo così peculiare che abbiamo noi zapatisti, zapatiste, di affacciarci al futuro, al domani. C'è una specie di ironia della morte e, nello stesso tempo, una grande speranza per la vita.
Perché?
Non sono state poche le albe solitarie in cui ho cercato di rispondere a quella domanda che la luna ci ripete col suo viavai luminoso. È stato il Vecchio Antonio, quell'indigeno di radici maya che per noi fu porta e finestra, che arrischiò una risposta:
“È questione del parlare e del suo tempo. Il presente si parla individualmente, il passato ed il futuro collettivamente. La morte, dunque, è una questione che ha potere solo individualmente e la vita è possibile solo collettivamente. Per questo diciamo ‘muoio’ e per questo diciamo ‘viviamo’ e ‘vivremo’”.
Allora, ora ricordo la diagnosi tipica delle infermiere zapatiste così come la comunicavano ai pazienti. Non era: “non è grave, guarirai”, ma: “di sicuro morirai, ma non subito, ci vorrà ancora del tempo”. Il paziente si rimetteva rapidamente. Non so se per lo stimolo di una diagnosi così motivante… o perché, preparando l'iniezione l'insurgenta addetta alla sanità aveva la gentilezza di informare il paziente che l'ultima volta che aveva fatto un'iniezione le si era rotto l'ago nella natica del compagno. “Povero compa” - diceva mentre strofinava con un batuffolo di cotone inzuppato di alcool la zona dove avrebbe fatto l'iniezione - “credo che abbia ancora dentro il pezzo di ago, per questo zoppica”.
Con tutto questo voglio dire che 14 anni fa pensavamo sì alla morte, ma era una faccenda privata, come lo sono lo spazzolino da denti e la biancheria intima… be, se si può chiamare biancheria intima quei pezzetti di tessuto che le donne usano adesso e che, inoltre, si sistemano in modo da farle spuntare dai pantaloni che non arrivano ai fianchi.
Mmm… mi sta venendo fame, quindi è meglio che mi affretti a completare quanto ho da dirvi…
Vi stavo dicendo che sì, la morte possibile e probabile era, ed è, una questione individuale e personale, ma la vita era ed è, per noi, una questione collettiva su come eravamo, siamo, saremo.
In altre parole, per lo zapatismo dell’EZLN, il fallimento e la morte si coniugano alla prima personale singolare (“Io, Me, A me, Con me”), il che ha dato il titolo ad un disco di Joaquín Sabina); invece, il successo e la vita portano sempre in mano il “noi” che ci dà identità, passato e domani (quello che si conosce come “Utopia” che, per certo, è il nome di un disco di Joan Manuel Serrat).
In sintesi, quella vigilia della guerra contro l'oblio, non è che non portassimo con noi, oltre al fuoco, dei dubbi. Ne avevamo, e molti. Ma non si riferivano al nostro destino individuale o collettivo. Queste questioni si erano risolte tempo prima, quando ognuno di noi, ognuna di noi, eravamo arrivati al punto in cui, questo sì è qualcosa di personale ed individuale, eravamo arrivati alla grande biforcazione che normalmente presenta l'andar del mondo: in alto o in basso? A destra o a sinistra? Protagonismo individuale o anonimato collettivo? Luce o ombra?
No, i dubbi avevano a che vedere con ciò che avremmo trovato là fuori.
Imputatelo al nostro pessimismo dialettico o alla nostra sfiducia ancestrale, ma il fatto è che pensavamo che saremmo stati ricevuti col silenzio, la sordità, la condanna, la lapidazione. Chiaro, oltre che con pallottole e bombe. “Non sono bombe, sono razzi” - disse l'autodenominato storiografo ed allora fan di Carlos Salinas de Gortari, come poi lo sarebbe stato di Ernesto Zedillo, Vicente Fox, López Obrador (prima della frode, chiaro) ed ora lo è di Felipe Calderón. Credo si chiami Héctor Aguilar Camín che, di sicuro, ora firma un libro su Acteal, perché Tello Díaz non era disponibile. Altro denaro per ampliare gli annessi e connessi in cambio del lavaggio del crimine di Stato che porta il timbro di una guerra di sterminio che compie ormai 515 anni.
Balza all'attenzione che la memoria che si fa di Acteal porti il logo di Gustavo Iruegas, addetto alle relazioni esterne del cosiddetto governo legittimo di López Obrador. E che, nel momento in cui si denuncia la partecipazione di ex-guerriglieri nella strategia di contrainsurgencia che si scatenò allora e che culminò col Massacro di Acteal, si dimentica che uno dei capi della delegazione governativa di Zedillo era il signor Iruegas, oggi convertitosi improvvisamente alla causa della sinistra.
Bene, non divaghiamo, dopotutto lassù, Aguilar Camín troverà da chi riscuotere.
Ritorniamo a quei giorni. Perché risulta che ci sbagliammo. E ci sbagliammo doppiamente.
Perché incontrammo sì, gli Annessi e Connessi e le relative Svolte a destra, ma incontrammo anche allora chi, pensammo allora, tentava di capire, di capirci.
Già prima ho fatto riferimento al fatto che, a quell'epoca, abbiamo avuto la fortuna di contare sull'interesse dei lavoratori dei mezzi di comunicazione, oltre che di artisti, intellettuali e scienziati progressisti. L'ascolto che prestarono allora è qualcosa che fu fondamentale e che ricordiamo con sempre più nostalgia.
La presenza di queste persone fu importante. Tuttavia, non mi riferirò ora alla loro notevole assenza, al loro criticabile silenzio, o alle relative dissociazioni di moda e convenienza.
Invece, vorrei citare chi si avvicina alle lotte, movimenti e popoli offrendo appoggio, mentre in realtà sta concedendo un prestito ad alti interessi. Cioè, a quelle persone che trasformano la solidarietà ad una causa, in un bottino ed usano questi appoggi per costruire la propria scalata al Potere.
Perché risulta che se ci sbagliammo a supporre che saremmo stati soli, ci sbagliammo anche a pensare che ciò che era di interesse primario, e poi simpatia, appoggio e solidarietà, fosse qualcosa di sincero e di onesto.
In quei primi giorni, ignari di come andavano le cose là fuori, si avvicinarono a noi persone di cui ci fidammo. Allora non sapevamo che, insieme a loro, venivano anche le loro fobie e che non pensavano ad altro se non a come fare uso del posto che il sangue dei nostri morti aveva conquistato.
È normale che, quando si parla in generale, gli interessati dicano che ci stiamo riferendo ad altri, o ad altre. Quindi, bisognerà nominare anche le persone che furono della CONAC-LN e poi del FAC-MLN. Che, quando divenne di moda accusarci di essere “riformisti armati” e “piccolo borghesi” ci dettero addosso con singolare entusiasmo. I “radicali” di allora sono adesso agnelli mansueti nei recinti del Potere. Il signor Benito Mirón Lince ne è la dimostrazione. L'attuale funzionario del governo del DF, passato di poltrona in poltrona, dimentica che alcuni anni fa era un furibondo critico della sinistra istituzionale e del riformismo. Il radicalismo gli è durato fino a che non ha raggiunto il budget.
Poi scoprimmo che la presunta solidarietà con lo zapatismo, per tutti e tutte loro non era stata altro che un investimento.
Gli attuali funzionari distribuiscono elemosine per lavarsi la faccia, conservano o esibiscono le loro foto con gli zapatisti a seconda di come tira il vento, si congratulano reciprocamente per la loro prudente maturità ed ingrassano il loro portafoglio con banconote e carte di credito, ed il loro cuore con alibi che nascondono i loro tradimenti e tentennamenti.
Questo è successo e succede non solo in Messico, ma anche in Europa. Collettivi di solidarietà che allora tesero ponti, oggi ci attaccano, mantengono un silenzio complice o si dissociano con un opportunismo che ha come contapassi il rating sui mezzi di comunicazione.
E pretendono che, a pagamento dei “favori ricevuti” (così dicono), l'EZLN appoggi le loro posizioni riguardo alla giusta lotta del popolo Basco, le loro politiche di sostegno vergognoso dell'interventismo nordamericano ed europeo, i loro sospiri per le monarchie che macchiano il vecchio continente. E siccome non lo facciamo, allora si ritirano o cambiano in base alla moda, questo sì, previa dissociazione pubblica… o privata.
Su questi ed altre terre, gli usurai della solidarietà reclamano da noi un'autocritica, esigono che chiediamo perdono visto che non obbediamo loro, che non li seguiamo, che non ci sottomettiamo.
Allora ci sbagliammo. Adesso sappiamo che la solidarietà che non si dà senza condizioni, senza aspettarsi niente in cambio, non è che un'altra forma di usura, grazie alla quale si vuole trarre profitto dal dolore e dalla lotta altrui.
Tutto questo viene a proposito visto che questo è un forum di solidarietà con le comunità indigene zapatiste.
Ed io sono venuto solo per avvisare che, quelle persone, quei gruppi, quei collettivi e quelle organizzazioni che pensano di praticare l'usura presentando il conto dei loro aiuti e della loro solidarietà verso i nostri popoli, sappiano che non avranno nessun rimborso.
Diciamo loro di guardarsi allo specchio che in alto finge di essere di sinistra, di partecipare ai loro caffè, incontri conviviali, tavoli di redazione, ai loro consigli nazionali, ai loro uffici governativi.
Sentirete, con sorprendente unanimità, che lo zapatismo è passato di moda, che ha commesso molti errori, che non è realistico, che è settario, radicale, ostinato… che è coerente.
Non fraintendetemi, non siamo cattivi debitori, non è che non vogliamo pagare.
Si tratta semplicemente di confusione.
Perché in questo lungo combattere, i popoli indios tutti, non solo zapatisti, sono i creditori.
È così da quando il mondo ha cominciato a girare. Così fu 200 anni fa. Così fu un secolo fa.
Così sarà quando il calendario del basso torni a girare e a presentare all'alto l'interminabile conto dei debiti che si accumulano in basso e a sinistra.
Perché, bisogna dirlo, forse quello che il Che disse di aver visto in lontananza altro non era che il luogo dove la libertà è il punto di arrivo e di un nuovo passo: quello di essere migliori.
Bene (bene anche per la benzina). Saluti e che, tra somme e sottrazioni, vinca il domani.
Molte grazie.
Subcomandante Insurgente Marcos
martedì 23 ottobre 2007
Comunicato dell'EZLN del 14 ottobre 2007
PAROLE DELLA COMMISSIONE SESTA DELL’EZLN A CHIUSURA DELL’INCONTRO DEI POPOLI INDIOS D’AMERICA
14 Ottobre 2007
Autorità tradizionali della Tribù Yaqui di Vicam
Leader, rappresentanti, delegati, autorità dei popoli originari d'America presenti in questo Primo Incontro dei Popoli Indios d'America
Uomini e donne, bambini ed anziani della Tribù Yaqui
Osservatori ed osservatrici del Messico e del Mondo
Lavoratrici e lavoratori dei mezzi di comunicazione
Sorelle e fratelli
Grandi sono le parole ascoltate in questo incontro.
Grandi sono i cuori che hanno partorito queste parole.
Il dolore dei nostri popoli è stato raccontato da chi lo subisce da 515 anni.
La sottrazione ed il furto di terre e risorse naturali, ma ora con i nuovi abiti della "modernità", del "progresso", della "civiltà", della "globalizzazione".
Lo sfruttamento di centinaia di migliaia di uomini, donne, bambini ed anziani, che riproducono i tempi ed i metodi delle encomiendas e delle grandi haciendas dell'epoca in cui le corone d'Europa si imponevano a ferro e fuoco.
La repressione con la quale eserciti, poliziotti e paramilitari rispondono alle rivendicazioni di giustizia della nostra gente, come quella che le truppe dei conquistadores usavano per annientare intere popolazioni.
Il disprezzo che riceviamo per il nostro colore, la nostra lingua, il nostro modo di vestire, i nostri canti e balli, le nostre credenze, la nostra cultura, la nostra storia, allo stesso modo di 500 anni fa, quando si discuteva se eravamo animali da addomesticare o bestie feroci da annichilire, e si riferivano a noi come inferiori.
Le 4 ruote della carrozza del denaro, per usare le parole dello Yaqui, ripercorrono la strada fatta del sangue e del dolore dei popoli indios del continente.
Come prima, come 515 anni fa, come 200 anni fa, come 100 anni fa.
Tuttavia, qualcosa è cambiato.
Mai la distruzione era stata così grande ed irrimediabile.
Mai era stata così grande ed incontrollabile la brutalità contro terre e persone.
E mai era stata così grande la stupidità dei malgoverni che subiscono i nostri paesi.
Perché quello che stanno uccidendo è la terra, la natura, il mondo.
Senza logica di tempo e luogo, terremoti catastrofici, siccità, uragani, inondazioni si susseguono su tutto il pianeta.
E dicono che sono catastrofi naturali, quando in realtà sono state provocate, con accurata stupidità, dalle grandi corporazioni multinazionali e dai governi al loro servizio nei nostri paesi.
Il fragile equilibrio della natura che ha permesso al mondo di andare avanti per milioni di anni, sta per rompersi di nuovo ma ora definitivamente.
E in alto non fanno niente, se non dichiarazioni ai mezzi di comunicazione e formare inutili commissioni.
I falsi capi, i malgoverni, sono idioti che adorano gli anelli della catena che li soggioga.
Ogni volta che un governo riceve un prestito dal capitale finanziario internazionale, lo mostra come un trionfo, lo pubblicizza su giornali, riviste, in radio e televisione.
I nostri attuali governi sono gli unici, in tutta la storia, che festeggiano la loro schiavitú, la ringraziano e la benedicono.
E si dice che è democrazia il fatto che il Comando della distruzione sia a disposizione di partiti politici e caudillos.
"Democrazia Elettorale" è come i prepotenti chiamano la lotta per entrare nell'affare di vendere la dignità e portare avanti la catastrofe mondiale.
Là in alto, con i governi, non c'è speranza alcuna.
Né per i nostri popoli indios, né per i lavoratori della campagna e della città, né per la natura.
E per accompagnare questa guerra contro l'umanità, si è costruita una gigantesca bugia.
Ci dicono, ci ripetono, ci insegnano, ci impongono, che il mondo ha percorso la sua storia per arrivare dove siamo ora, affinché comandi il denaro, quelli in alto vincano e noi, che siamo il colore della terra, perdiamo.
La monarchia del denaro si presenta, così, come il culmine dei tempi, il fine della storia, la realizzazione dell'umanità.
Nelle scuole, sui mezzi di comunicazione, negli istituti di ricerca, nei libri, la grande bugia riaggiusta la storia e ciò che ha fra le mani: il luogo e il tempo, cioè, la geografia ed il calendario.
In queste terre, che chiamarono "nuovo mondo", loro ci imposero la loro geografia.
Da allora ci fu un "nord", un "sud", un "oriente" ed un "occidente", accompagnati da segni di potere e barbarie.
I 7 punti cardinali dei nostri antenati (sopra, sotto, davanti, dietro, un lato, un altro lato ed il centro) furono dimenticati e al loro posto arrivò la geografia dell'alto con le sue divisioni, le frontiere, i passaporti, le green cards, la minuteman, la migra, i muri ai confini.
Imposero anche il loro calendario: in alto i giorni di riposo e benessere, in basso i giorni di disperazione e morte.
E celebrano ogni 12 ottobre "il giorno della scoperta dell'America", quando in realtà è la data dell'inizio della guerra più lunga della storia dell'umanità, una guerra che dura ormai da 515 anni e che ha come obbiettivo la conquista dei nostri territori e lo sterminio del nostro sangue.
Insieme a questo profondo e diffuso dolore, è stata citata anche la ribellione del nostro sangue, l'orgoglio della nostra cultura, l'esperienza nella resistenza, la saggezza di nostri vecchi.
In questo Incontro si è guardato indietro e lontano.
La memoria è stata il filo invisibile che unisce i nostri popoli, così come le montagne che corrono lungo tutto il continente ricamano queste terre.
Quello che alcuni chiamano "sogno", "utopia", "impossibile", "bei desideri", "delirio", "pazzia", si è sentito qui, nella terra dello Yaqui, con un altro tono, con un altro destino.
E c'è un nome per ciò di cui parliamo ed ascoltiamo in tante lingue, tempi e modi.
C'è una parola che viene dall'origine stessa dell'umanità, e che segna e definisce le lotte degli uomini e delle donne di tutti gli angoli del pianeta.
Questa parola è "LIBERTÀ".
È quello che vogliamo come popoli, nazioni e tribù originarie: LIBERTÀ.
E la libertà non è completa senza la giustizia e senza la democrazia.
E non può esserci niente di tutto questo nel furto, nel saccheggio e nella distruzione dei nostri territori, della nostra cultura, della nostra gente.
Un mondo senza prepotenti, questo è quanto che sembra impossibile che riescano ad immaginare le persone, oggi.
Come se la terra avesse avuto da sempre chi impone il suo potere su di lei e su chi la lavora; come se il mondo non possa mai essere giusto.
Sono i popoli originari che guardano al loro passato, che conservano e preservano la loro memoria, quelli che sanno che è possibile un mondo senza Dominatore né dominati, un mondo senza capitale, un mondo migliore.
Perché quando innalziamo a bandiera il nostro passato, la nostra storia, la nostra memoria, non vogliamo ritornare al passato, ma costruire un futuro degno, umano.
Incontrarci è la conquista principale di questa riunione.
C'è ancora molto da fare, discutere, concordare, lottare. Ma questo primo passo sarà un vento fresco per il dolore del colore che siamo noi del colore della terra.
Nel calendario che cominciamo a percorrere, nella geografia che concordiamo, continua una gigantesca sovversione.
Per i suoi modi e mezzi non ci sono manuali, ricettari, dirigenti di scrivania e d'accademia.
Invece, c'è l'esperienza dei popoli originari, ma ora con l'appoggio e la decisione dei lavoratori della città e della campagna, dei giovani, delle persone adulte, degli altri amori, dei bambini e delle bambine; di tutte e tutti quelli che sanno che per il mondo non ci sarà un'altra opportunità se questa guerra la vinceranno quelli che stanno in alto.
La ribellione che scuoterà il continente non ripercorrerà le strade e le tappe delle precedenti che cambiarono la storia: sarà un'altra.
Quindi, quando cesserà il vento che saremo, il mondo non avrà terminato il suo lungo cammino e ci sarà l'opportunità di fare con tutte, con tutti, un domani dove ci siano tutti i colori.
A quel tempo del calendario che faremo, in quel luogo della nuova geografia che realizzeremo, la luna cambierà lo sguardo con cui nasce e sarà di nuovo il sorriso che annuncia l'incontro della luce e dell'ombra.
Da Vicam, Sonora, Messico
Subcomandante Insurgente Marcos
Messico, Ottobre 2007
(traduzione del Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)
giovedì 11 ottobre 2007
Sostieni il Centro Salam
ormai ci conosciamo un pò tutti e sappiamo che il 98% di noi ha un cuore grande e aperto ad aiutare chi è in difficoltà.
Come volontaria di Emergency sento il dovere di trasmettere questo messaggio, certa che darete una mano anche voi a far crescere il Centro Salam di cardiochirurgia.
Lei è Sunia, giovane ragazza sudanese, che se non fosse stato per l'aiuto che tutti noi le abbiamo dato, adesso non sarebbe viva. Guardate invece il suo sorriso, fantastico vero?
Seguite le indicazioni scritte sulla cartolina e possibilmente fate passaparola.
Tutti i bimbi, le donne, gli anziani, che nel mondo hanno difficoltà, urlano NO ALLA GUERRA.
Tutti noi urliamo ai padroni del mondo: NO ALLA GUERRA!
Per ogni informazione e se desiderate visitare virtualmente il Centro Salam www.emergency.it
Bacioni x tutti
lunedì 8 ottobre 2007
Il Che...ultima puntata.
Oggi è l’8 di ottobre, giornata in cui, quarant’anni fa, Ernesto Guevara, il CHE, veniva catturato nella foresta Boliviana.
Tradito, come sono traditi tutti quelli che sono temuti per la loro capacità d’amare.
Chi ama, diventa sempre un pericolo, perché nessuno può fermare la loro avanzata verso la meta. Chi ama, non vede difficoltà, supera con coraggio tutto, quindi diventa un pericolo agli occhi, di chi, l’amore è sinonimo di grandezza.
Solo con il tradimento si può fermare l’amore, ma la storia c’insegna che alla fine, anche un atto aberrante, può essere inutile. Si può togliere la vita ad un uomo, ma i suoi Ideali ed il suo Amore, resteranno sempre, per sempre.
Qualcuno circa duemila anni fa, tradì il Cristo per trenta denari.
Qualcuno, quarant’anni fa, tradì il Che e per molti dollari lo vendette alla CIA.
Questo qualcuno, lo si può identificare nella persona di Ciro Bustos, che insieme a Régis Debray, furono catturati pochi giorni prima di Guevara. Il primo aveva avuto incarichi molto importanti all’interno dell’organizzazione guerrigliera. Il secondo era solo un messaggero tra i guerriglieri e Cuba.
Non so se qualcuno di voi ha visto mai in faccia Bustos, ma ha davvero gli occhi del “GIUDA”.
I due agenti della Cia, che prima catturarono i due di cui sopra e che poi, a causa del tradimento di Bustos, fecero prigioniero il Che, erano Felix Rodriguez e Gustavo Villaldo Sempera.
Rodriguez, oltre al suo impegno con la Cia, aveva un odio personale e profondo nei confronti del comandante Guevara. Questo perché era figlio di un’agiata famiglia cubana e nipote del ministro dei Lavori Pubblici sotto il governo di Batista. Con la presa dell’Avana era stato, quindi, costretto a lasciare Cuba.
Rodriguez possiede ancora oggi, una collezione macabra dei resti del Che.
Villaldo, fu proprio lui a rivelare a Jorge Castaneda, che era stato Bustos a rivelare il luogo dell’accampamento dove si trovava il Che.
L’8 ottobre, il Che viene catturato e portato al villaggio La Higuera.
L’indomani mattina già moltissime radio annunciano la sua morte, ma in realtà verrà ucciso solo dopo le tredici.
Mario Téran, un sergente, si dice ubriaco, fu incaricato, o si offrì volontario, non si sa bene, per uccidere il Che.
Gli fu detto di non sparare al volto per, eventualmente, poter simulare una morte in combattimento.
Tèran a quanto pare esitò più di una volta e bevve molto prima di portare a termine l’ordine.
Secondo la leggenda, le ultime parole del Che furono: “Spara, codardo, Stai uccidendo solo un uomo” (n.d.a.). Dopo il primo colpo, il Comandante cadde mordendo i lacci che gli legavano le mani, per non urlare il dolore che provava, poi un’altro colpo ed uno ancora, infine il colpo di grazia.
Questo accadeva il 9 ottobre 1967, quando Ernesto Guevara de la Serna, detto “Che”, aveva soltanto trentanove anni.
Ma la storia, continua, il Che è sempre con noi!
venerdì 5 ottobre 2007
Bush: Il Killer più potente del mondo!
Mi verrebbe da aprire questo articolo con qualche imprecazione del tipo: beep, beeeeeeeeep, beeeeeeeeeeeeep...mortacci sua e de su nonno che era pure il padre di suo padre George the first!
Ok mi do una calmata, almeno cerco di darmela, cominciando a dire che Mr. George W. Bush è il killer più potente del mondo.
Perchè? Semplicissimo, uccide milioni di povera gente e nessuno gli dice nulla, tanto è solo il Presidente degli Usa.
Non gli bastavano i morti in Afghanistan, in Iraq, ora nega la sanità per i bambini americani ma, attenzione!!!!! Mica a tutti i pargoli eh! Solo quelli meno abbienti che non hanno un'assicurazione sanitaria.
Ohè, occhio che la salute potrebbe diventare un privilegio anche qui in Italia eh!
E con la gente che non può più neanche permettersi di comprare il pane, figuriamoci pagare un'assicurazione sanitaria.
Bush, non so che darei per vederlo a cavallo di un razzo, inviato sulla luna senza tuta spaziale.
Certo pensa a mantenere la Nasa, a finanziare guerre per soddisfare le lobby del petrolio che t'hanno fatto diventare presidente dei miei...beep! Scusate oggi ho il beep facile.
Tanto loro, non solo hanno la possibilità di pagare i medici, i migliori, naturalmente ma, di mandare i figli nelle migliori università.
Occhio anche qui, a proposito di studio, prima era un diritto, ora non so fino a che punto visto che paghiamo anche il pezzetto di gesso con i quali i nostri pargoli scrivono alla lavagna.
IO NON VOGLIO AMERICANIZZARMI OKKKKK?
Pssss, psssss, Bush...lo sai che chi la fa l'aspetti?
Sai che ci sono mali che neanche il tuo petrolio può curare?
Sai quante vittime hai sul tuo sporco e miserevole groppone? No, certo che no!
Per questa sera spero che ti vada il boccone di traverso e resti strozzato, senza però aver sofferto almeno per un pò. Promettimi che mi accontenterai, in fin dei conti è un aitaliana che te lo chiede ...Italia-America amici all right?
Ma vaffàmbagno in una vasca all'acido cloridrico va!
P.S. sei così sorridente in questa foto!Ma sai come si dice dalle mie parti? "Non sempre ride la moglie del ladro".