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Questo Blog lo dedico a Giorgiana Masi e Francesco Lo Russo

"Nel tempo dell'inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario.” J.O.
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Là, dove la gente scappa per paura della guerra, arriviamo noi a salvare vite umane!
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...non ho dimenticato Stalin!

Per lui sei importante: Non abbandonarlo MAI!

giovedì 27 agosto 2009

YA BASTA!

RIVOLUZIONE!!!

Siamo intelligenti, siamo colti e preparati...
Se non lo siamo DOBBIAMO diventarlo ogni giorno di piu'.
DICIAMO BASTA alla televisione, informiamoci su internet.
DICIAMO BASTA all'egemonia del petrolio, le macchine possono andare con mille altri mezzi che non siano inquinanti, e soprattutto GRATIS!!!!!
GRATIIIIIIIIIIIS!
DICIAMO BASTA A CHI TENTA DI SOFFOCARE LE NOSTRE VITE NELL'OBBEDIENZA!!!
BASTA!!!!
A questi politici marionette servi del potere!
Facciamo capire che:
INNEGGIARE AL FASCISMO E' REATO PUNIBILE CON LA GALERA!!!!
quindi...
DA OGGI COMINCIA UN NUOVO ORDINE, BASATO SULLE RISORSE VERE E CONCRETE, SUL DIO UOMO, MORTE AL DIO DENARO!!!!
BASTA!!!
BASTA!!!!!
BASTAAAAAA!!!!!!
SPEGNETE LA TELE, RENDIAMOCI CONTO CHE E' IL MALE!!!!
chiunque puo' aiutare nel suo piccolo, con parole, link a notizie, video su manifestazioni, qualunque cosa ci aiutera' a cambiare il sistema...
e non andra' a finire come nella canzone di Gino Paoli (eravamo quattro amici al bar, che volevano cambiare il mondo), noi tra trent'anni saremo ancora di piu', LIBERI,INFORMATI E CON ILMONDO DI NUOVO NELLE MANI DEI NOSTRI FIGLI, NON DEI NOSTRI "VECCHI".
Ci diffondiamo come un virus, da dentro il sistema;
Abbiamo dentro tanta RABBIA ed ora sappiamo con chi dobbiamo prendercela!!!!
SIAMO MILIONI, ABBIAMO SOLO BISOGNO DI COMUNICARE TRA DI NOI.
I TEMPI SONO MATURI PER UNA RIVOLUZIONE!!!!
Spegnamo la tele ed accendiamo il pc.
TUTTI PRONTI, PER UN UNICO MOMENTO DOVE SAREMO TUTTI UNITI A DIRE:
YA BASTA!!!

lunedì 24 agosto 2009


In ospedale Una dei cinque eritrei scampata al mare
«Donne incinte sul barcone
Le ho viste abortire e morire»
Titi la sopravvissuta racconta

Titi, la sopravvissuta
PALERMO — «A bordo c’erano an­che tre donne incinte. Due di loro pri­ma di morire hanno perduto il bam­bino che portavano in grembo, han­no abortito per la fame, la sete e la sofferenza di un viaggio terrificante durato 21 giorni». Parla un inglese stentato Titi Tazrar, 27 anni, eritrea, unica donna sopravvissuta alla trage­dia nel Canale di Sicilia. Ma lo strazio di quelle compagne di viaggio che coltivavano la speranza di una vita migliore soprattutto per le creature che portavano in grembo lo racconta anche a gesti. Alza a fatica la testa dal cuscino e muove le mani dall’alto in basso, sfiorandosi il ventre come a dar forma all’orrore di quei feti che vengono via dall’utero materno. Un gesto che fa calare il silenzio tra me­dici e infermieri dell’ospedale Cervel­lo di Palermo dove ieri è arrivata in elicottero assieme a un altro conna­zionale di 24 anni, Halligam Tissfa­raly, che se ne sta raggomitolato te­nendosi il braccio teso alla flebo.

Anche Titi è visibilmente provata, ma sgrana gli occhi e quasi si dispera quando non riesce a farsi capire. «A bordo non avevamo praticamente nulla — racconta — solo qualche bot­tiglia d’acqua, pochissimo cibo e ne­anche un telefono per lanciare l’allar­me. Alla partenza eravamo 78, in gran parte eritrei ma anche etiopi e nigeriani. Di alcuni ci accorgevamo che erano morti perché durante la notte cadevano direttamente in ma­re, altri li abbiamo dovuti abbando­nare noi. Le donne incinte sono quel­le che più hanno sofferto, noi non sa­pevamo come assisterle e consolarle. Ma poco dopo aver perso il bambino sono morte anche loro».

E poi dà la sua versione sulla con­troversa questione dei soccorsi mal­tesi. «Ci hanno dato cibo, acqua e del­la benzina ma ci hanno lasciati in ma­re. Anche un’altra imbarcazione si è accostata per darci cibo e acqua. Nes­suno però ci ha preso a bordo». Si fa evasiva di fronte alla domanda diret­ta se sono stati loro a rifiutare il tra­sbordo sulle imbarcazioni che hanno fornito i viveri. Insiste: «Ci hanno da­to solo acqua e cibo, mentre altre na­vi non si sono neppure avvicinate. Noi ci sbracciavamo, gridavamo, chiedevamo aiuto ma loro facevano finta di non vederci». Per Titi il trasfe­rimento in ospedale si è reso necessa­rio per le sue precarie condizioni di salute («si riprenderà presto» assicu­rano i medici).

Dietro la sua attuale fragilità si in­travede un’abitudine alla sofferenza che è stata determinante per resiste­re 21 giorni in balia del mare. Forse quel che resta della vita militare a cui era destinata. In Eritrea frequentava quella che lei chiama «accademia mi­­litare » e che forse è proprio la durissi­ma «Sawa» dove le donne subiscono ogni tipo di violenza. «Era una vita che non mi piaceva — si limita a dire lei — volevo e voglio una vita diver­sa ». Titi non è sposata e non ha figli. Nel suo Paese ha lasciato la madre, un fratello e una sorella che lavorano in un’azienda agricola e dice di non aver pagato nulla per il viaggio: «A pagare per me è stato mio zio mater­no, ma non so quanto abbia versa­to ». Sa benissimo invece quanto ha dovuto penare prima di arrivare al tanto atteso viaggio della speranza in Italia: «Un anno e otto mesi ho do­vuto aspettare prima dell’imbarco— racconta — restando a lungo in Su­dan e poi diversi mesi in Libia».

Non parla o preferisce tenerle per sé storie di violenze in Eritrea e du­rante il cammino verso l’Italia, ma il­lumina la stanza col suo gran sorriso quando si accenna al futuro: «Ho chiesto asilo politico — scandisce— sono partita perché volevo venire in Italia. Non in Germania o Francia ma in Italia. Voglio restare qui. Sono di­sposta a fare qualunque tipo di lavo­ro ma voglio finalmente una vita mi­gliore ».


Alfio Sciacca
24 agosto 2009

Considerazioni

...e vedo la gente, nella più totale indifferenza, girare per centri commerciali a spendere per cose inutili. Altri, rivolgersi alle finanziarie, per poter comprare un biglietto di prima classe per una crociera che li porterà in paesei lontani. Mi chiedo lontani da chi e da cosa? Come può un essere umano sentirsi distante da un altro simile e dal dolore che questo prova?
Se un mio simile soffre e vive in condizioni come quelle di Titi, io mi sento parte di lei, con lei e le starò accanto in tutti i modi possibili.
Lo so che non sono sola, in questa mia visione della vita che molti definirebbero "follia".
Allora, qualcuno ci dia il detonatore, che la dinamite siamo noi!

Chiapillita